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Olimpiadi 2024. Le più Social di sempre.

Una pugile algerina sconfigge l’avversaria italiana e i Social si scatenano. È subito Gender Boxe.

I media la accusano di non essere una donna. Dopo un acceso e consueto scontro “social” si arriva alla verità. La pugile è donna, ma con una produzione di testosterone oltre la soglia considerata normale. Una condizione che viene definita dai media Intersex (senza alcuna evidente prova o test) e che, in uno scenario a dir poco surreale, costringe il padre di Imane Khelif a proteggere sua figlia mostrandone il certificato di nascita a conferma del sesso femminile.

Facciamo un po’ di chiarezza

Essere una persona intersex significa avere variazioni nelle caratteristiche sessuali che non rientrano perfettamente nel binarismo di genere tradizionale. Le persone intersex possono identificarsi come donne, uomini, persone non-binary e/o transgender. Spesso subiscono interventi chirurgici non consensuali per conformare il loro corpo agli standard di genere, con gravi conseguenze fisiche e psicologiche.

La questione della sessualità della pugile algerina è il tormentone dell’estate, ma è anche una questione sempre fondamentale della cultura e del rispetto dei diritti sociali.

Cosa definisce davvero una donna o un uomo?

Il dibattito è accesissimo. Il punto non è il sesso assegnato alla nascita, ma il genere con cui Imane Khelif si identifica. E nessuno, dico nessuno, dovrebbe permettersi di mettere in discussione la sua identità di genere.

Del resto, i parametri stabiliti dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sono stati rispettati, e anche la Società Italiana di Endocrinologia (SIE) ha preso posizione a suo favore, rilasciando un comunicato che sottolinea l’importanza di affrontare queste delicate questioni solo su basi scientifiche e culturali adeguate, evitando così pregiudizi e speculazioni politiche.

Disinformazione e ignoranza = Intolleranza

Il mix di intolleranza, disinformazione e malizia ha coinvolto organizzazioni, influencer, leoni da tastiera, personalità del mondo della cultura e della comunicazione, conservatori, omofobi, misogini. Tutto nella solita modalità della polarizzazione e dello scontro.

La profonda ignoranza riguardo a temi come la queerness e l’identità di genere sono stati ancora una volta strumentalizzati dalla politica e dal giornalismo e, soprattutto, dagli ecosistemi social.

Khelif, insieme a tutte le persone che non si conformano alle norme sociali, è stata vittima di una violenza mediatica crudele, che evidenzia la cattiveria e l’intolleranza di cui siamo capaci, ma anche la problematicità del concetto di conformità.

L’incidente Khelif ci offre una preziosa occasione per riflettere sulla questione del sesso biologico. Una vicenda che dimostra il fallimento della nostra ossessione per l’incasellamento delle persone in categorie rigide: uomini, donne o altre creature fantastiche. Siamo molto più complessi di un’etichetta, ma la complessità fa paura, e ridurre tutto a slogan ed etichette è considerato rassicurante dalla maggior parte delle persone.